Non c’è Lirola che tenga, non c’è Mazzitelli, non c’è Ricci, non c’è Di Francesco, insomma non c’è calcio giocato che possa far cambiar parere a chi, per grottesco e anacronistico campanilismo, continua per la sua tangente. Il fuoriclasse argentino e quello portoghese della Juventus, per anni si sono affrontati in Spagna con le maglie di Barcellona e Real Madrid, si sono divisi qualcosa come dieci Palloni d’Oro e dato vita ad una delle più belle rivalità della storia del calcio. Innumerevoli le sfide di Baggio, con le tante maglie che ha indossato: Vincenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Internazionale, Brescia; molte quelle vinte, moltissime quelle perdute. Finalmente si torna a respirare aria pulita, si torna a parlare di calcio giocato, sono tornati i sorrisi e l’armonia che avevano azzerato, più che una società ormai l’Ascoli era la polisportiva Domodimonti, a usoesclusivo di un gruppetto di persone che faceva e disfaceva, la tribuna centrale invasa da amici degli amici, gente che non sapeva nemmeno di che colore sono le maglie dell’Ascoli. Se così tanto lo si è amato e tifato, in una nazione campanilistica come l’Italia, a prescindere dalla bandiera della società che vestiva e dai suoi successi, questo strano fenomeno sociologico va forse letto così: Baggio ha giocato anzitutto contro se stesso, senza cedere mai, lottando contro una serie di infortuni micidiali e sfortune di percorso che gli hanno letteralmente tagliato le gambe, più di una volta.

Ma le due società hanno deciso di abbandonare lo storico Stadio di San Siro per costruirne uno nuovo. Ritrovai, per alcuni minuti, nonostante l’occhio esperto di frequentatore di stadi, la stessa meraviglia della prima fluorescenza verde dell’erba di San Siro. La felicità di aver evidentemente raggiunto il mio scopo: quello di aver lavorato una vita per il pubblico per soddisfarlo, prima con quanto proposto in televisione, poi in radio. Il pubblico ci ha preso gusto, si è dimenticato delle assenze pesanti di Berardi e Missiroli. E ci sta, mi dico, almeno sui numeri non si sbagliano poi di molto, che se c’è una roba che il Sassuolo deve migliorare è proprio l’affluenza di pubblico. Nel corso delle loro straordinarie carriere, non solo hanno vinto moltissimo facendo vedere sui campi da gioco di tutto il mondo cose spesso mai viste prima, ma l’hanno fatto sfidandosi a suon di record. Una semplicità unita però a una profonda consapevolezza: tutto è impermanenza, o anicca, secondo il termine sanscrito della tradizione buddhista; dunque nulla è reale, e la prima illusione è il nostro ego: l’Io non esiste, è vana fantasia di attaccamento: si tratta del principio dell’anatta, dell’irrealtà dell’Io. Uno che ha vinto il pallone d’oro, in grado di risolvere partite ad ogni livello, di fare goal e assist come nessun altro nella sua epoca, è anche uno che però ha quasi sempre dovuto lottare per un posto il squadra, terza maglia inter per non scaldare la panchina.

Poi però un blackout e l’Inter si ritrova sotto per 2-1. Serve un miracolo. Ma la sua storia, una delle più longeve del calcio italico, ci insegna che la partita più importante tutti noi la giochiamo contro noi stessi; e che la passione che abbiamo va seguita per essere sempre all’altezza di noi stessi, dando tutto ciò che possiamo. E tutto questo scenderà in campo domenica… Sabato 20 Giugno, gli occhi di tutti il mondo ovale erano puntati su Cremona, sullo Zini, storico campo della Cremonese, tempio del calcio grigiorosso. L’area del campo poi ha cambiato uso ed ha seguito il destino del Centro siderurgico. Strano, il destino di Baggio. La grandezza di Roberto Baggio sta in una combinazione, quasi unica nella storia del calcio, tra una tecnica altissima e un’inventiva inaudita; il suo modo di giocare a pallone diventa così, non semplicemente un’esecuzione del gesto atletico finalizzato al goal, ma anzitutto una reinvenzione del gioco stesso attraverso forme, schemi, idee, gestualità, geometrie inconcepibili prima che lui li abbia compiuti. Era andato dietro al pallone per fuggire da una vita nelle miniere di carbone, come toccava a tutti gli uomini del suo paese, nel Lanarkshire.

A pallone era come un ragazzino, uno di noi. E con lui anche Mazzitelli non era stato da meno, così come Ricci. Per questa serie di motivi, da tempo sono in molti a chiedersi quale tra i due sia stato il più forte. «Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri». Sembrava ancora un Primavera tra i grandi. Gli undici medaglioni con i busti dei grandi nomi della storia di Milano si trovano sopra le finestre del primo piano. Uno dei pochissimi sbagliati, probabilmente il solo che abbia mai calciato sopra la traversa. Solo 2 alla fenomenale Juve che da un intero girone ha cancellato dal suo vocabolario ogni parola che non sia vittoria, con la sola eccezione del pareggino a Bologna, contro Donadoni, l’altro signor allenatore che, con Spalletti, ha dato vita al più clamoroso rilancio di una squadra alla deriva.